La scopa del sistema di David Foster Wallace

scopa del sistema

Titolo: La scopa del sistema
Titolo originale:
The Broom of the System
Autore:
David Foster Wallace
Traduttore: Sergio Claudio Perroni
Editore: Einaudi
Prezzo:  15 €
Data di uscita: 22 maggio 2012 Super ET
Genere: Romanzo
Pagine: 553

Scritto a soli ventiquattro anni, La scopa del sistema è il primo romanzo di David Foster Wallace. Pubblicato nel 1987, quando lo scrittore stava completando un Master in Fine Arts, specializzandosi in scrittura creativa all’universtà dell’Arizona, il libro era stato originariamente presentato come tesi all’Amherst college, l’Alma Mater di Wallace.
Fina dai primi capitoli, stupisce come un ragazzo così giovane possa aver rivoluzionato il romanzo americano, seguendo le orme di “V” di Thomas Pynchon e “La vita secondo Garp” di John Irving, eppure Wallace ci è riuscito, e divertendosi per giunta.

Lo sviluppo tradizionale della trama non ha alcuna importanza per Wallace, a cui non interessava la linearità della narrazione broom of the systemquanto la possibilità di ritrarre personaggi e situazioni che sembrano assurde, surreali e grottesche ma che sono anche incredibilmente vere. Ecco allora una galleria di americani di cui seguiamo le vicende attraverso una serie di sottotrame, intervalli, salti temporali, dialoghi e silenzi, sedute dallo psicologo trascritte.
Tuttavia, nonostante la narrazione sia frammentata, la prosa audace e completamente folle di Wallace ci tiene attaccati alla pagina e non risulta affatto difficile da seguire.
L’eroina del libro è Lenore Stonecipher Beadsman, una ventiquattrenne centralinista appartenente ad una influente famiglia di Cleveland, Ohio, che parte alla ricerca della sua bisnonna, fuggita con infermieri e altri pazienti dalla casa di cura in cui risiedeva. Lenore – ragazza in cerca di una propria identità e ora sconvolta dalla scomparsa della bisnonna – proviene esattamente da una piccola cittadina di provincia, East Corinth, che suo nonno ha fatto costruire con il profilo di Jane Mansfield. La bisnonna, che si chiama come la nipote, all’università era allieva di Wittgenstein – i cui studi hanno ispirato la stesura di questo romanzo – ed ha portato con sé il suo famoso quaderno di appunti del Professore. Attorno alla confusa Lenore gravitano una serie di personaggi bizzarri: il geniale fratello LaVache, anche detto l’Anticristo, che dispensa consulenze per superare esami ai suoi compagni di università in cambio di marijuana; una sorta di fidanzato, Rick Vigorous, che le racconta storie bizzarre per sublimare la propria impotenza; e un pappagallo tutto strambo chiamato Vlad L’impalatore che recita sermoni in una tv via cavo. Come se non  bastasse nel 1990, anno in cui è ambientato il romanzo, un assurdo deserto artificiale avvolge la città di Cleveland e la vita dei personaggi: il Deserto Incommensurabile dell’Ohio (DIO), ovvero l’emblema del Vuoto, il simbolo di una alterità arida che circonda il pieno della città e dell’io della protagonista.

La forza di questo romanzo è precisamente nella sua stravaganza e nella riuscita prova di meta scrittura che rende queste pagine un labirinto di simboli, un gioco attraverso cui si tenta di capire come la nostra vita sia limitata da quanto «se ne può raccontare». Siamo, dunque, solo ciò che viene descritto da una semplice parola?
Mentre seguiamo la trama principale all’interno del romanzo si svuluppano tante microstorie: quella di Rick, del deserto attorno alla città di Cleveland, di Norman Bombardini, il re dell’ingegneria genetica che ha deciso di ingrassare a dismisura, di Wang – Dang Lang, corteggiatore di Lenore.
Tutti i personaggi sono in crisi, confusi. Lenore tenta di trovare un senso, è alla ricerca di un proprio equilibrio e si mette in continua discussione, chiedendosi quale sia la differenza tra l’immagine che gli altri hanno di lei  e quella reale. Quale tipo di controllo esercitano gli altri attribuendoci una definizione – fidanzata, nipote, centralinista? Uno scontro dunque tra percezione del sé e l’immagine pubblica legata anche ad un semplice significante. L’io e l’altro si scontrano mentre Leonore tenta di dare un senso a questa dicotomia anche seguendo delle sedute dallo psicologo.
Wallace concepì il romanzo proprio basandosi sugli studi sul linguaggio di Wittgenstein, in particolare la teoria dei giochi linguistici secondo cui il linguaggio è solo uno specchio della realtà, una delle infinite possibilità tra le tanti funzioni immaginabili. Così Lenore, durante la sua ricerca, si chiede cosa definisca autenticamente la sua vita, quale parola o simbolo riesca a raccontarla davvero: «Il semplice fatto che Nonna riesca a farmi tutto ciò con le parole, a farmi sentire così, a farmi percepire la mia vita come abbondantemente fottuta nonché sconnessa, addirittura a farmi chiedere se io sia me stessa… il fatto che riesca a farmi tutto questo già solo parlandomi, cioè semplicmente con le parole, non dovrebbe dirci qualcosa riguardo al potere della parole?». Il sistema nel quale viviamo cerca di darci una definizione, di controllarci attribuendoci una funzione limitata. Lenore cercherà  di scardinare proprio questo concetto.
Irriverente, comico, barocco, La scopa del sistema è un libro affascinante che scorre incredibilmente veloce, anche grazie alla magnifica traduzione di Sergio Claudio Perroni.

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3 risposte a La scopa del sistema di David Foster Wallace

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